Marij Kogoj

Marij Kogoj, un ‘triestino’ dimenticato

Correva l’anno 1955 e il musicologo e compositore Pavle Merkù pubblicò nella rivista Naši Razgledi un articolo dal titolo Marij Kogoj, šestdesetletnik (Marij Kogoj, un sessantenne). Questo fu un primo passo per riscoprire un compositore che era da un quarto di secolo relegato nel dimenticatoio della malattia mentale, un compositore che era stato uno dei più geniali, indisciplinati, scomodi artisti sloveni della prima parte del ventesimo secolo.

Sin da bambino Kogoj non venne risparmiato dalla sorte: nato il 18 settembre 1892 in Largo Barriera Vecchia, venne battezzato con il nome di Giulio, ma alla morte del fratello di tre anni più giovane, venne chiamato con il nome di quest’ultimo Marij (Mario), prendendone di fatto l’identità e tutti i documenti. Cosicché risultava di tre anni più giovane.

Dopo la sparizione della madre (di cui non si sapeva bene quale fosse la professione) e la morte di tisi del padre Štefan, lui e la sorella vennero trasferiti al comune paterno di origine Canale d’Isonzo (Kanal), dove ricevettero l’istruzione formale. Marij mostra una particolare intelligenza e talento musicale. Per questo motivo può iscriversi al ginnasio goriziano, anche se decise di non conseguire la maturità. La musica lo chiama altrove: nel 1914 è a Vienna, dove segue le lezioni di Franz Schreker e Arnold Schoenberg.  Nel 1918 rientra a Lubiana, lavora, mette su famiglia. Gli esiti lavorativi sono discontinui, viaggia tra Novo Mesto, Gorizia, Lubiana e Trieste, dove vive e lavora un suo grandissimo amico e sostenitore Ivan Grbec, nella casa del quale si riunivano spesso molti intellettuali triestini sloveni.

Così riporta Pavle Merkù: “In questi anni, ma soprattutto dopo la fine della Prima guerra mondiale, la piccola casa dei Grbec diventò un vero e proprio centro culturale del paese che già si apprestava a diventare sobborgo della città. Grbec con la sua simpatia e con la sua levatura culturale e morale iniziò ad attirare gli artisti sloveni che allora vivevano a Trieste. Sino a quando il fascismo non li disperse per il mondo, si trovavano presso di lui e davano vita ad una vita culturale molto movimentata, sconosciuta sia prima che dopo: i letterati Josip Ribičič, Albert e Karlo Širok, i pianisti Srečko Kumar e Gita Bortolotti, i violinisti Mirko Logar e Karlo Sancin, la cantante Avrelija Sancin e i compositori Breda Šček e Karol Pahor; di tanto in tanto giungevano da Tomaj il letterato Stano Kosovel con la sorella Karmela, pianista.

Difficilmente sarà possibile ricostruire l’importanza di questo nucleo culturale e determinare quali manifestazioni sono qui nate. Si può però ipotizzare come questi incontri possano aver fecondato il lavoro dei singoli, e si può pensare all’impulso che possono e alle conseguenze che può aver lasciato per tutta l’attività culturale degli sloveni nel Litorale.

Da Lubiana o da Gorizia arrivava in visita anche Marij Kogoj che faceva la parte da leone e spesso teneva concerti per gli amici in casa Grbec.

Gli anni sono difficili e Marij Kogoj non è una persona malleabile. Sono anni però, in cui compone e scrive critiche per riviste e giornali, spesso inimicandosi i criticati, tanto da aver subito anche un’aggressione fisica.

Il musicologo sloveno Borut Loparnik, uno dei maggiori conoscitori della vita e delle opere di Kogoj scrive che il maestro “non rispettava le maniere civili, non apprezzava la soddisfazione dei dilettanti, non lodava le persone professionalmente di poco valore e stava in silenzio difronte al tribunale della politica culturale. Era solamente un ribelle e un giudice che giurava sulla verità delle idee, intelligente, senza compromessi, sincero e senza nessuna considerazione per le pagelle e i meriti dei vecchi maestri”.

Nel 1924 Kogoj trova la trama adatta per la sua prima e unica opera Črne maske (Le maschere nere), dramma scritto da Leonid Nikolaevič Andreev e tradotto in sloveno da Josip Vidmar. Le maschere nere di Kogoj vengono messe in scena per la prima volta il 7 maggio 1929 grazie a Mirko Polič, direttore jugoslavo, anche lui nato a Trieste.

Il 13 dicembre 1931 Kogoj si esibisce per l’ultima volta in pubblico, a giugno 1932 i sintomi della malattia mentale deflagrano e da allora non si sarebbe più ripreso. Morì dimenticato il 27 febbraio 1956.

Gli ultimi anni di attività compositiva sono anni di ricerca essenziale. Riguardo al suo modo di scrivere c’è stato chi ha parlato di costruttivismo anche considerando che Kogoj aveva avuto stretti rapporti con Avgust Černigoj, uno dei nomi più interessanti della pittura slovena e triestina

Dopo Le Maschere nere Kogoj rinuncia alla tonalità d’impianto e in realtà rinuncia a tutto ciò che lo limita o che gli crea impedimenti.

Darja Koter che ha analizzato i Lieder di Kogoj vede in questi ultimi anni una linearità compositiva polifonica che dà alle ultime composizioni di Kogoj un’aura sonora totalmente nuova.

I brani più interessanti di questo ultimo periodo sono dunque gli ultimi Lieder e soprattutto le 22 Malenkosti (Bagatelle) per pianoforte. Si tratta di 22 piccole perle pianistiche che sono state redatte e pubblicate da Jakob Jež, uno dei più accaniti sostenitori di Marij Kogoj.

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